Il corpo scioglie i nodi dell'anima.
Non può andare sempre tutto liscio come l'olio, o come l'acqua; la nostra storia, ogni tanto, si annoda. E noi, ovviamente, con lei.
In genere, accade quando abbiamo esaurito le risorse, abbiamo messo troppa carne sul fuoco, ci siamo dati senza riserve, in termini fisici ed emotivi. Ad un certo punto diventiamo i protagonisti di una storia che non è più nostra.
Quali sono i segnali di questo aggrovigliamento?
L'immobilità, la stasi o, come lo chiamo io, il senso dell'inverno addosso, anche quando è piena estate.
E' quel sentire che invade il corpo, come fossimo immersi nella neve alta: mani fredde, articolazioni rigide, chiusura del petto e della gola, confusione mentale, paura, terrore, esaurimento delle forze, pensieri fissi.
Nella mia esperienza di lavoro, questi sono tutti effetti di un trauma non elaborato, richiamato all'ordine in un momento delicato della nostra vita che a quel primo trauma un po' assomiglia. Può dipendere da qualcosa che sta accadendo nel nostro entourage (lavorativo, personale, o tra noi e noi...)
Normalmente, quando accade è perchè siamo ad un punto in cui è necessario dare voce a ciò che non ha ancora potuto parlare: una parte di noi obbligata a rimanere in silenzio per: paura, timore, educazione, rispetto, chissà poi cosa pensa la gente, irretimenti ed inibizioni...
Ho compreso che il nodo è proprio qui. Come un simbolico Titanic, ci incagliamo contro un iceberg e lì, incastrati tra il ghiaccio dell'anima, rischiamo di affondare.
Dal mio punto di vista, non è il caso di arrivare al naufragio, è bene attivarsi per evitare il disastro, recuperando, prima d ogni altra cosa, il senso del movimento.
Il movimento è il nemico principale di ogni forma di paura, trauma, shock, irretimento.
Nel corpo, ad esempio, il tremore, che è un movimento intelligente e involontario, serve per liberare le forze intrappolate; l'errore è bloccarlo, perchè poi torna, sotto altra veste, per ricordarci che il motivo per cui era comparso la prima volta non è ancora stato digerito.
Così, dal tremore di una volta si passa alla stasi, nel presente. In questa fase, per rialzarsi, si rende necessario cambiare la postura, l'orientamento, voltare lo sguardo, anzi, alzarlo e volgerlo all'orizzonte, reale o simbolico.
Quando siamo nel blocco, guardiamo all'orizzonte; la sola sensazione dell'esistenza di una dimensione più ampia, anche se lontana, agevola l'espansione dei tessuti e la respirazione, riporta i ritmi biologici i equilibrio, regala un nuovo assestamento.
Orientarsi all'orizzonte accoglie, con umiltà e rigore, lo spazio che non abbiamo potuto abitare in precedenza, si fa portavoce e traduce in un linguaggio comprensibile il messaggio contenuto nella bottiglia del trauma; non solo, diventa anche ago e filo per ricucire il lembo strappato dell'esperienza. Ed è proprio da quel simbolico cheloide che possiamo ripartire, senza preoccuparci troppo di quello che è stato prima perchè, nel frattempo, quel qualcosa, ha assunto una nuova forma, che non spaventa più.
E, se non c'è più la paura a bloccare il processo, allora, e solo allora, ci si può nuovamente muovere, sciogliendo il nodo che ci stritola e la neve che ci congela, riprendendo le redini di una storia approssimativa, per trasformarla, come dico ormai da sempre, nella nostra.
Buona settimana,
Cristina