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  • Immagine del redattoreCristina Ferina

Le Case senza le Persone non sono "solo Muri"...


... se in Cantina si ha una Valigia come questa. Fino ad un po' di tempo fa era davvero nella mia cantina, poi ho deciso di riservarle un posto d'onore, in una stanza al secondo piano della casa in cui sto vivendo.


Ci sono foto, lettere, pezzettini di carta... è inequivocabilmente la valigia dei ricordi.

Una persona a me molto vicina, lo scorso anno, mi ha detto, dopo un evento tragico ed ineluttabile: "le case senza le persone sono solo muri".

Affermazione che ha trovato smentita dopo qualche mese, grazie all'esperienza diretta del semplice abitare quella casa.


Nella prima fase di assenza di una persona che ha abitato un certo luogo può esserci la sensazione che quel luogo lì, senza di lei, non abbia più senso, e che quindi gli spazi siano destinati ad ospitare solo dei freddi, talvolta spessi, muri che fanno da involucro ad un edificio. Una sensazione transitoria che implica il movimento successivo, non ancora visibile. Una realtà di cui ci si accorge poco per volta, un processo di riemersione, attento e delicato come se si stesse risalendo in superficie dopo un'esperienza in acque profonde. Ed è quando quell'assenza si trasforma in presenza.


James Hollis, psicoanalista junghiano, in una sua opera intitolata Mythologems, Incarnations of the Invisible World, scrive:


"La natura della sensibilità mitica risiede nella capacità di ciascuno di noi di leggere il visibile nell'invisibile, stimolata dal desiderio di porre domande - come perchè, cosa significa questo".


La sensibilità, qui, è mitica perchè nessuno di noi può prescindere dal mito, universale ed individuale. Il mito è un fatto incarnato.

Questa abilità, presente archetipicamente, affonda le sue radici nella nostra disposizione biologica a produrre immagini, a creare soglie, a muoversi sul limes che separa i mondi. Più ci esercitiamo in questa disciplina, più gli spazi, e quindi le case, e i luoghi di lavoro, di svago, e così via, acquisiscono il senso assoluto della loro esistenza, perchè ciascuno diventa uno spazio del mito.


Con o senza le persone, del presente e del passato.


Lo spazio del mito è a-temporale e, grazie alla relazione con il corpo, di chi lo popola nel qui e ora e di chi lo ha popolato prima, ma anche di chi deve ancora arrivare, diventa presenza sensibile nel tempo ordinario. La sua traccia vive nelle dimensioni di assenza e si trasforma in presenza, riempiendo gli spazi vuoti, viaggiando sulle domande di chi rimane.


Buona settimana,


Cristina



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