Ho sperimentato, nei giorni passati, il senso dell' accoglienza, al quale ha fatto inevitabilmente seguito l'esperienza del congedo.
E' stato un toccare con mano le vere dinamiche relazionali. Che siano personali o professionali, oppure accidentali, tutte hanno un fattore comune: sono regolate da un ritmo "bipolare" dato da due poli, accoglienza e congedo, che diventano i confini ideali in cui ci muoviamo noi, ovvero io e... l'alterità.
In questo spazio ritmico, la mia storia e quella dell'altro si incontrano, scambiandosi dei doni simbolici.
In primis, il dono della presenza. Accogliere l'alterità significa conoscere e negoziare costantemente i propri confini, per non venire sopraffatti da una storia che non ci appartiene, o, in parte, non ci appartiene ancora. La presenza ci tutela, e ci offre la grande opportunità di modulare l'ingresso dell'altro in accordo con la nostra natura. In questo modo, l'incontro può diventare una contaminazione consapevole.
Ed è proprio la contaminazione, il dono successivo. L'abitudine a parlarne in senso dispregiativo ci ha tolto la capacità di vederla in chiave opposta. La contaminazione, per come la intendo io, e in particolare nell'accoglienza, è il movimento necessario che precede l'ingresso vero e proprio nelle storie reciproche e avviene se c'è già un terreno ricettivo. Contaminare e lasciarsi contaminare, in questa visione, è una dichiarazione d'amore, un movimento erotico che ci spinge, in senso simbolico, tra le braccia dell'altro. Senza eros non ci alzeremmo nemmeno dal letto, non lavoreremmo, non porteremmo avanti in nostri progetti, non inseguiremmo i nostri sogni. Non ci incontreremmo mai. E, quindi, non creeremmo relazioni.
Il terzo dono, superata e integrata fase di contaminazione erotica, è la fusione, proprio come gli amanti. Pur restando entità separate, ci si penetra a vicenda. In questo campo cosciente, i protagonisti, ben presenti a loro stessi, contaminati ed "erotizzati" quanto basta, "fanno accadere" la relazione, e da qui, attraverso un ulteriore dono, una sorta di capacità fertilizzante, dalla quale nasceranno i frutti dell'incontro, la portano fino al punto di congedo. Il congedo, l'allontanamento inevitabile, diventa una soglia transitoria di passaggio verso la successiva esperienza di incontro.
E così, nello spazio di una vita, noi accogliamo e ci congediamo un milione di volte, definendo, passo dopo passo, il ritmo e la qualità della nostra camminata.
Quando ci pesa farlo, perchè succede, proviamo a tornare alla "bontà" dell'esperienza, e a ciò che ci portiamo a casa: i doni intermedi e il frutto finale, diverso per ognuno.
Buona settimana,
Cristina