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  • Immagine del redattoreCristina Ferina

Il Corpo che Siamo


Più che averlo, noi siamo un corpo.

Solo che non sempre ce ne rendiamo conto. E' più semplice credere di averlo, in un certo senso comporta meno responsabilità. Identificarsi completamente con la struttura che quotidianamente ci porta in giro, sostiene pesi, reali e simbolici, sopporta stress e tensioni di ogni genere, richiede impegno; vuol dire accettare un'intelligenza diffusa che dimora, non solo in alto, ma anche in basso.

Io, ad esempio, mi sono accorta di essere un corpo solo quando questo mio corpo ha ceduto, quando la lancetta aveva superato il rosso e stava già grattando il fondo. Di lì ho capito che sapeva perfettamente quello che stava facendo, nonostante cercassi di distrarlo con la mente (ah ah).

Io provavo a spostare l'attenzione, cognitiva, su una cosa, e lui mi riportava dove voleva che io stessi. In quel periodo mi sentivo particolarmente in forma; lavoravo, studiavo, e ogni momento libero era buono per fare sport, che fosse andare in piscina o in bicicletta. Non mi fermavo, qualcosa non me lo permetteva.

Ero entrata in una specie di fase maniacale, iperattiva. Le mie surrenali ad un certo punto hanno ceduto, e io, o meglio, il mio corpo, con loro; inevitabile e anche necessario, perchè comprendessi l'importanza tra l'avere e l'essere, appunto, il mio corpo. Era il 2004, avevo 28 anni. E io non capivo assolutamente niente di quello che mi stava succedendo.

Non riuscivo più a dormire, non avevo appetito, avevo dolori ovunque, come se un caterpillar avesse attraversato ogni mia cellula.

Ovviamente, a livello psichico, mi sentivo completamente appiattita. E l'appiattimento è stato proprio il punto dal quale sono ripartita, anche perchè non c'era altro che potessi fare, mi mancavano totalmente le forze.

Il mio corpo, saggiamente, mi aveva dato un bello stop, obbligandomi a fare i conti con quel periodo di iperattività che, con un po' di elaborazione, ho poi scoperto essere solo un paravento dietro al quale si nascondeva Altro.

Giorno dopo giorno, nella mia patta psicofisica, ho ricomposto i pezzi, fino a che quell'Altro non si è manifestato nella sua espressione più autentica che mi ha fatto cambiare completamente strada rispetto a quella che stavo già percorrendo da un po'. In sostanza, già da qualche anno, stavo viaggiando sul treno sbagliato.

Scendere e salire su quello giusto non è stata proprio una passeggiata di salute; correggere la direzione comporta sempre un certo impegno che non si esaurisce in qualche giorno, ma in qualche anno. E, soprattutto, non è lineare.

La mia mente, prima di questo scivolone, continuava a fare finta di niente, mi obbligava a riempire le mie giornate con attività, certamente interessanti e anche salutari, se praticate con criterio, ma, per me, inutili. Giravo a vuoto.

Fino a che il mio corpo, che sapeva cosa era buono per me, non mi ha fermata.

Con il senno di poi, passati quasi 14 anni da allora, credo che la mia mente volesse risparmiarmi tutto l'impegno messo negli anni a venire; ma cosa ne sarebbe stato di me se il mio corpo non si fosse imposto con intelligenza?


Il corpo riceve input costanti, che raggiungono gli strati più profondi; alcuni sono già immagazzinati geneticamente, altri vengono acquisiti attraverso l'esperienza.

Se dovessimo dividere gli uni dagli altri, operando poi una semplificazione ideale, et voilà, ecco che il risultato saremmo Noi; un risultato che arriva solo quando viviamo l'esperienza, attraversiamo la crisi, la rottura, che offre la grande opportunità di fermarsi e ripartire.

Ma se questo non lo fa il corpo, non illudiamoci che lo faccia la mente. Lei cercherà sempre di distarci lasciandoci ad un livello superficiale; in fondo, è il suo modo di proteggerci, ma anche quello di farci vivere una vita inautentica.

Negli anni ho poi scoperto che è possibile giungere a questa comprensione "senza farsi del male", come è accaduto a me nel 2004, e chissà a quanti altri.

Come? Basta fermarsi, ma mica giorni o ore, a volte basta solo qualche minuto; entrare in relazione con quello che stiamo facendo e vivendo, e sentire come e dove risuona dentro di noi. Ci penserà poi il corpo a fare tutto il resto. Come sistema biologico complesso è portato alla trasformazione, all'integrazione e all'espulsione.

Quindi, se quello che stiamo vivendo è buono per noi, rimarrà una traccia da seguire, altrimenti perderà la sua importanza e verrà cancellato dal sistema.

Quali approcci possono aiutare in questo? In generale, tutti quelli che restituiscono al corpo il suo valore ontologico, di Essere, dotato di Intelligenza: la Meditazione, il Core Bodywork, ovvero il lavoro sul corpo orientato ad una presa di coscienza profonda, come la Biodinamica e il Focusing, le tecniche di integrazione del trauma, le Artiterapie, il Teatro, la Danza, le Costellazioni Familiari.

L'offerta è ampia, ma è meglio perdersi nella scelta della tecnica che può andare bene per noi, piuttosto che perdersi e basta, senza sapere dove siamo.


A presto,


Cristina




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