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  • Immagine del redattoreCristina Ferina

Il Campo Biodinamico



Il seminario che ho tenuto questo fine settimana è stato, come sempre, una rivelazione, anche per me.

Ogni volta, la Biodinamica Craniosacrale riesce a stupirmi, ad ogni lezione e ad ogni sessione. Ho trattato un argomento di base, un fondamentale, quindi già affrontato altre volte; ma la Biodinamica ha la particolarità di essere sempre diversa pur avendo una sua matrice di fondo, un nucleo immutabile, un motore immobile, per dirla all'Aristotele, una causa prima, con le sue manifestazioni, nella dimensione concreta, che invece cambiano sempre perchè sono soggette alle leggi della materia.


Biodinamica significa, semplicemente, vita - in movimento- (Rollin Becker, osteopata, ha scritto un libro con questo titolo), ciò che segue i ritmi naturali, pertanto non si può avere che fare sempre con la stessa esperienza. "Non ci si bagna due volte nello steso fiume" (Eraclito, oggi sono in vena di filosofi). Se pensiamo che ognuno di noi è a sè, diverso dall'altro, è impossibile che ciò che esprimo io sia uguale a ciò che esprime l'altro.


Quindi, la Biodinamica, anche nell'accezione somatica, è l'insieme delle forze in gioco, che sostengono il processo vitale e che si "muovono" nel "campo".

Ma che cos'è questo campo? Avevo già scritto qualcosa qui, ma oggi voglio approfondire il concetto, soprattutto alla luce del lavoro fatto in questo fine settimana perchè, senza l'esperienza, la teoria è nulla, e, con l'esperienza, la teoria può anche essere sovvertita, continuamente messa in discussione, in un'evoluzione costante, soprattutto se è implicato il corpo, che ne è il mediatore.


Il campo... Il campo è tutto quello che c'è adesso, intorno a noi, ovunque siamo. Lo spazio, la stanza in cui ci troviamo, con pareti, complementi d'arredo. E' un fenomeno? Sì. E' oggettivo? Anche, ma non deve restare solamente tale. E' un fenomeno con il quale stabilire una relazione, e che, da oggettivo, diventa esperienziale. Ma mai soggettivo; il soggettivo implica già un intervento da parte dell'ego che, almeno in questa occasione, viene gentilmente accompagnato alla porta.

Il campo è costituito anche da tutto quello che non si vede: le nostre storie, i nostri ricordi, le nostre esperienze pregresse, tutte registrare nelle nostre cellule, nella nostra memoria mitocondriale.


Quindi, quando siamo, e ci muoviamo, nel campo biodinamico, nel quale di dispiega l'intero lavoro, è fondamentale tenere conto di tutti questi aspetti, visibili e non, imparando a sostenerli, tutti insieme, contemporaneamente, e, last but not least, considerando anche i fenomeni che avvengono nel corpo.

"Holding the field", dice un mio insegnante inglese. Le prime volte c'è da sudare freddo; come faccio a "tenere insieme" tutti questi elementi, in un vortice di equilibrismi che, se non faccio abbastanza attenzione, "cado e mi faccio male"? O faccio qualcosa di sbagliato, e poi la persona che sto trattando ha qualche reazione che non sono in grado di gestire?

Domande lecite, che trovano risposta, e uno spazio di sicurezza, in un moto che, oltre ad essere il senso dell'udito, è anche l'espressione di dinamiche più sottili, a tratti vaghe ed indefinite, ma che non sbagliano: sentire.

E' un sentire che nasce dalla propriocezione (consapevolezza del proprio corpo nello spazio), che, nello stabilire una connessione con l'interocezione (insieme delle attività interne del nostro sistema), dà vita a questo movimento, più ampio e profondo.

Il sentire, così inteso, è quindi il risultato di un'operazione somatica, che diventa l'elemento chiave per sostenere il campo, sapendo perfettamente dove collocarsi e come stare con quello che emerge.


Ogni persona ha ed è un campo, ogni persona ha una storia. Ogni individuo è il risultato degli elementi della storia (eventi vissuti, persone incontrate, spazi condivisi...). Ogni persona è un campo dentro un campo, dentro un campo, dentro un campo... una matrioska di campi che ne incontra altre con cui si interconnette, trasformandosi in una vera e propria rete, quindi in un Campo infinito.


Quindi, la domanda che mi sono posta alla fine di queste due giornate di formazione è stata: siamo noi che sosteniamo il campo, o è il Campo che sostiene noi?

Se siamo noi a sostenere il campo, e quindi a "mettere prima" la nostra individualità, operiamo un processo di frammentazione, una separazione. Al contrario, se mettiamo prima il campo, con noi come parte di esso, siamo immediatamente integrati in una rete molto più grande, e stretta. E cosciente.

Io preferisco pensare alla seconda; in questo modo, il Campo diventa un elemento di forza che mi aiuta a definire con più semplicità il perimetro del campo che mi serve per fare un buon lavoro, che non è altro che un frammento (un ologramma) del primo; più o meno la stessa relazione che c'è tra inconscio individuale e inconscio collettivo.


A presto,


Cristina



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