Lo ammetto: sono un'appassionata tardiva di Mitologia, o meglio, ho maturato seriamente l'interesse per questa disciplina solo dopo la mia laurea in Filosofia, tardiva anche questa, e arrivata dopo un lungo peregrinare... per anni sono stata dominata dall'archetipo del viandante, e poi, in famiglia, già c'era chi aveva fatto tutto il percorso lineare: il mio fratellone. Credo anche che il responsabile ab origine di questa mia passione sia stato proprio lui, in tempi non sospetti, quando lo vedevo vagare per casa con "Il ramo d'oro" di Frazer sotto il braccio, un saggio classico dell'antropologia di cui, sono sincera, all'epoca mi colpivano solo la copertina e il perchè un informatico come lui potesse interessarsi ad un argomento così tanto lontano da quelle stringhe e da quel linguaggio binario che lui masticava ogni giorno.
Intanto, passati gli anni e, con loro, anche tanta acqua sotto i ponti (come direbbe mia nonna), ho fatto le mie esperienze, mille traslochi, ho intrapreso i miei percorsi, li ho completati (qualcuno è ancora in itinere), li ho amati e odiati, ma sempre ringraziati.
In tutto questo, una costante, un punto fermo; nonostante i miei cambiamenti, anche logistici, quel libro di Frazer, proprio lo stesso che mio fratello maneggiava con cura quando ancora vivevamo sotto lo stesso tetto, era con me. E insieme a lui il mio testo di epica del liceo, che amavo moltissimo. Mentirei se dicessi che Frazer l'ho letto tutto; ho affrontato solo qualche stralcio, mentre il libro di epica me lo sono divorato più volte.
Questo, fino a sei anni fa, era stato il mio rapporto con il mito ma un giorno, mentre stavo studiando la relazione tra mitologia e guarigione nell'ambito della Biodinamica, (in particolare i Miti di Creazione paragonati all'Embriologia) qualcosa dentro di me ha fatto clic.
Come se ad un certo punto qualcuno avesse spalancato una porta, e mi fossi trovata davanti ad un fenomeno nuovo e antico allo stesso tempo, certo ed assoluto, sacro, quale il mito, in fondo, è.
Così ho recuperato autori come Joseph Campbell, immenso maestro, René Girard, Mircea Eliade, René Guenon, naturalmente Jung e Hillman, e altri minori, testi di mitologia e simbologia, iniziando ad integrare l'approccio mitologico e simbolico nella pratica corporea per giungere ad una mitologia personale.
Il risultato è stato affascinante, le mie intuizioni trovavano riscontro nell'esperienza dei miei clienti il cui corpo, attraverso i suoi sintomi e le sue sensazioni, si trasformava in una narrazione mitica a getto continuo, e nella quale il cliente diventava l'eroe che aveva percorso tappe essenziali per l'elaborazione della sua storia.
Il sintomo (o la sensazione) rappresentavano la tappa, spesso legata ad altre a doppia mandata, ma il fatto di collocare il lavoro nel presente, mi permetteva di iniziare da quella prioritaria.
E così via, di tappa in tappa, fino a sciogliere tutti i nodini per tessere una trama definita, lineare e senza intralci.
E così che è nato il Bodytelling; non importa quale sia il mito di riferimento, non importa nemmeno che ce ne sia uno in particolare, ogni storia personale è già un mito di per sè, questo è quello che conta.
Ma perchè il mito funziona? Perchè il mito vive nel presente, anche se le storie che conosciamo arrivano da un passato remoto. Il mito, che significa narrazione, è stato "costruito" dall'uomo e ha diverse funzioni, tra cui quella di spiegare l'origine di tutte le cose, quella di garantire una continuità e una trasmissione di eventi e tradizioni, di dare un'impronta culturale e sociale che è così, sempre; quella pedagogica, perchè dal mito si possono imparare lezioni che normalmente non si apprenderebbero. Il mito è una matrice di fondo, originaria (come si dice in Biodinamica) e immutabile. Si potrebbe definire come la radice dalla quale tutti veniamo e tramite la quale tutti ci evolviamo, che possiede un'autorevolezza quasi genitoriale di fronte alla quale non possiamo non sentirci sempre bambini sulla strada dell'apprendimento e dell'educazione.
Il mito ci guida nella nostra direzione, ci offre la possibilità di correggere le coordinate, di confrontarci con la dimensione atemporale. Il mito è l'eterno presente che si replica in continuazione e noi possediamo i recettori per trasformarlo e farlo nostro.
"La Mitologia è una funzione della Biologia", sono d'accordo con questa affermazione di Joseph Campbell, che sulla relazione tra corpo e mito ha scritto un libercolo (Myth and the Body) insieme ad un bodyworker americano, Stanley Keleman; testo che ho scoperto solo lo scorso anno dopo che avevo già iniziato la mia sperimentazione sull'argomento e che mi rassicurata sul fatto di essere sulla strada, magari alternativa rispetto ad altre, battuta dal mio mito.
Io, per il momento, la seguo.
A presto,
Cristina